Occupazione nazista di Roma
Dopo la caduta del fascismo e la formazione del governo Badoglio, alcune truppe del Regio Esercito erano confluite nella capitale. Contemporaneamente i partiti di sinistra, nuovamente tollerati, vennero alla scoperta e organizzarono i primi nuclei militari antifascisti.
Quindi, fin dall’annuncio dell’armistizio la sera dell’8 Settembre, la necessità di difendere Roma non erano escluse. Ma all’alba del 9 Settembre, il re Vittorio Emanuele III, Badoglio e le autorità militari lasciarono la capitale senza impartire alcun ordine, lasciando le truppe nella totale incertezza.
Dopo i combattimenti nella periferia della sera dell’8 Settembre, le truppe furono costrette a ritirarsi e la mattina del 10, esse si riunirono davanti alla Porta San Paolo insieme a civili accorsi spontaneamente in aiuto e civili organizzati in gruppi antifascisti. Nonostante la schiacciante superiorità tedesca e il miglior equipaggimento nazista, il fronte resistette, facendosi scudo con i vagoni dei tram.
Nel primo pomeriggio, però, le divisioni corazzate tedesche travolsero la resistenza e il comandante della Divisione “Centauro”, Leandro Giacconi, firmò la resa con i tedeschi. A questo punto il comando italiano, su richiesta nazista, chiese di cessare il fuoco e Roma rimase, come da patto, presidiata da pochi soldati italiani. Nonostante ciò, subito dopo i tedeschi rinnegarono il patto e occuparono la città.
Qualche giorno dopo, la neonata Repubblica Sociale Italiana (RSI) ordinò il disarmo di tutte le rimanenti truppe italiane e il controllo nazifascista diventò totale.
La battaglia di Porta San Paolo è considerata da molti il fulcro della Resistenza Italiana, con la quale si possono osservare i comportamenti dei “protagonisti” dell’occupazione tedesca in Italia.