La nascita dei quattro giudicati sardi
Dopo la vittoria bizantina sui Vandali a Cartagine nel 534, i bizantini sbarcarono in Sardegna riconquistandola. Tra il 551-552 Totila, re degli ostrogoti, occupò il meridione dell’isola per un breve periodo, e dopo la morte di Giustiniano (565) il governo dell’isola diventò sempre più difficile a causa del suo isolamento. Con l’inizio dell’espansione araba in occidente, e la conseguente occupazione del nord-Africa, isolarono maggiormente l’isola.
La Sardegna era governata da un praeses che si occupava dell’amministrazione civile, e un dux si occupava della difesa del territorio. Le continue scorrerie degli arabi richiedevano l’intervento della forza militare, questo comporto l’aumentò dell’importanza della carica del dux, e nel corso del tempo sostituì il praeses.
Il dux, chiamato anche ipatos o arconte aveva numerosi funzionari importanti, nove circitores che riscuotevano le tasse, un adsessor e un primicerius che dirigevano l’officium di segreteria. Aumentò anche l’importanza dei vescovi che intervenivano nell’elezione dei praesides o iudices provinciali.
L’ipatos acquistava sempre più poteri, arrivando ad ottenere da Bisanzio una maggiore indipendenza. L’ipatos era libero di agire, ma legato all’impero più da un senso di rispetto verso l’imperatore che politicamente.
Per una difesa migliore, l’isola venne frazionata in parti chiamate tormarchie riunite in , controllate da una parte dell’esercito, comandata da un tomarca o merarca, e alcune volte il comandante del distretto veniva chiamato anche chisurarca e il distretto klosourai o klisure. Per l’amministrazione la parte o mereia poteva essere concessa a un iudex o a un topoteretes o lociservator, quest’ultimo era un vicario, un luogotenente e dipendeva da un arconte.
Col passare del tempo (verso l’IX-X sec.) da questa divisione in quattro mereie, per un miglior controllo del territorio e date le distanze fra le località, ebbero origine quattro giudicati autonomi; e oltre a quello di Cagliari, si avevano quelli di Arborea, di Torres o Logudoro e quello di Gallura, e poiché i primi giudici appartenevano a uno stesso ceppo, quello dei Lacon, è facile ritenere che ad amministrare le diverse zone fossero stati destinati dall’ipatos di Cagliari alcuni componenti della sua famiglia resisi poi indipendenti.
Dal 947 la Sardegna godeva di un periodo di tranquillità dovuto ad accordi tra Bisanzio e il califfato di Cordova, e scoppiata una rivolta in Mauritania distraeva gli arabi stanziati in Africa da progetti di espansione nel mediterraneo, i Saraceni della Sicilia attaccavano le coste della penisola nel mar Tirreno e Adriatico.
Questo periodo di calma cessò nei primi del Mille, quando armati arabi provenienti dal califfato di Cordova attaccarono Sardegna e Corsica, ma furono respinte, e numerosi soldati fatti prigionieri e consegnati ai bizantini. Successivamente nel 1006 questi prigionieri furono rimandati nel califfato dall’imperatore Basilio II, accompagnati da ambasciatori con lo scopo di dimostrare al califfo la rottura dell’accordo di pace.
Alla morte del califfo Al-Mansur (1002) succedette Ibn-Abd-Allàh Al-Murayti, un giureconsulto di primo piano, aiutato nell’ascesa da un giovane liberto di Al-Mansur. Questo giovane si chiamava Mugàhid ibn-Abd-Allàh Al-Amiri, soprannominato Al-Monafac, riprendeva i disegni di espansione nel mediterraneo di Al-Mansur, divenuto signore di Denia e della Baleari intorno al 1010, convinceva gli Arabi che la conquista della Sardegna sarebbe stata utile per il dominio sul mediterraneo. Nel 1015 Mugàhid passò all’azione attaccando la Sardegna e devastandola, successivamente nella primavera dello stesso anno una flotta di numerose navi salpò da Denia verso le Baleari, dove sostarono per circa cinque mesi per gli approvvigionamenti necessari e da cui organizzò tutta l’impresa. Nel mese di settembre un centinaio di navi con numerosi armati e mille cavalli lasciavano le Baleari per dirigersi in Sardegna. Mugàhid puntava proprio sulla cavalleria efficace e veloce che avrebbe preso di sorpresa i sardi. Mugàhid soprannominato dagli arabi “padre delle incursioni militari”, il cui nome fu poi italianizzato in Museto, aveva studiato l’incursione nei minimi particolari. Nonostante la resistenza dei sardi, gli Arabi sbarcarono nel cagliaritano e la cavalleria sbaragliava le schiere dei difensori, e il territorio veniva occupato. Secondo un cronista arabo durante la battaglia perse la vita un certo Malut o Salut, identificato forse con l’arconte Salusio, già giudice del giudicato di Cagliari. In poco tempo il dominio di Mugàhid si estese dalla pianura del campidano alla zona della costa sud-orientale, ma non s’inoltrava nelle terre delle Barbagie. Nel territorio occupato faceva erigere fortificazioni, nelle quali faceva murare vivi i sardi che avevano lavorato alla costruzione di esse per far in modo che non rivelassero i segreti della costruzione; i terreni erano fertilissimi e sfruttati con varie colture.
Qualche mese dopo la conquista Mugàhid lasciò l’isola per raccogliere nuovi armati a Denia e nelle Baleari. Ma mentre raccoglieva i nuovi armati, i Pisani e Genovesi che si erano già affermati sul mare, preoccupati da alcune scorrerie saracene nelle coste toscane, e spinti dal Papa Benedetto VIII, si preparavano ad andare in aiuto dei sardi. Il Papa che aveva proclamato una crociata contro Mugàhid veniva spinto non solo dalla fede ma anche da una relazione di un cardinale sardo, Ilario Cao. C’è anche un racconto leggendario che narra di una sfida tra il Papa e Mugàhid; si tramanda infatti che Mugàhid avesse mandato un sacco di castagna al Papa come simbolo di tanti armati Arabi pronti a combattere, e che il Pontefice avesse risposto a sua volta con un sacco di miglio con il chiaro significato che altrettanti cristiani sarebbero stati pronti a respingerli.
Nella primavera del 1016 convinto di poter completare la conquista arrivava in Sardegna, ma presto capì che alcuni presidi avevano ceduto, e i loro armati passarono tra le file dei sardi, e poi apprese dell’arrivo delle navi pisane e genovesi e cominciò i preparativi per la battaglia.
Ristabilito il potere nelle terre, si preparava per lo scontro navale, ma ignorando il parere di Abu Kharrub, il suo primo pilota, raduno le navi in un porto dell’isola troppo esposto ai venti, e mentre lui continuava i preparativi, una violenta tempesta si abbatteva sulle navi arabe. E subito dopo la tempesta le navi pisane e genovesi attaccarono i resti della flotta annientandola e catturando alcuna navi. Un cronista arabo racconta che Mugàhid “rompeva in altissimo pianto non potendo, né egli, né altro uomo al mondo, dare aiuto ai Musulmani in quel furore del mare e dei venti”, nonostante ciò Mughàhid riusciuva a scappare, ma lasciava come prigionieri nelle mani dei sardi, un fratello, la prediletta delle sue mogli e uno dei suoi figli, Alì, che aveva sei anni, ceduto a Enrico II di Germania, riscattato, succedeva al padre dopo la sua morte nel 1044 con l’appellativo di Iqbàl al-Danbh.
Genovesi e Pisani, orgogliosi dell’impresa e desiderosi di far valere l’apporto dato alla liberazione dell’isola, davano grande risonanza alle loro gesta. Ma le loro gesta servivano oltre che ad aumentare il loro prestigio, alle due Repubbliche marinare per l’attuazione di una politica d’insediamento in Sardegna, infatti l’isola ricca di miniere, saline, boschi, bestiame e terre coltivate e da coltivare, già autonoma e divisa in quattro mereie, si avviava a diventare un territorio di sfruttamento.
I Genovesi e i Pisani che erano in possesso di una forte flotta, ne approfittarono per legare ai loro Comuni in maniera più salda i giudici sardi, che, pur riluttanti, preoccupati dagli avvenimenti, venivano spinti ad alleanze per una più efficace protezione.
Così si apre per la Sardegna un nuovo periodo ricco di avvenimenti con le vicende dei quattro giudicati.