La sciagura di essere untori

Affrontiamo insieme la storia degli untori, anche grazie all’aiuto di Alessandro Manzoni.
Immaginate di essere nel 1630.
Immaginate anche di vivere nella città di Milano, di essere onesti cittadini e di uscire dalla vostra casa per svolgere, come tutti i giorni, il vostro lavoro.
In città si respira un’aria malsana, questa strana malattia che sta dilagando sta mietendo moltissime vittime. Alcuni pensano si tratti di una punizione divina, per redimere i peccati dell’uomo, altri son convinti che vi siano degli individui che cospargono muri, panchine, palazzi con uno strano unguento… li chiamano untori.
Proprio mentre vi aggirate per la città, ecco spuntare da una strada laterale un gruppo di soldati spagnoli, insieme ad una figura che, indicandovi, vi accusa di essere un untore, uno dei responsabili di questa atroce piaga. Vi arrestano. Sapete già quale sarà il vostro destino.
La Milano del 1630
Questa breve introduzione era volta a far capire come potesse essere facile accusare (e venire accusati) di essere i responsabili della Piaga.
Nel periodo che va dal 1629 al 1633, con massimo apice nel 1630, dilagò nell’Italia settentrionale, nel Granducato di Toscana e in Svizzera, una feroce epidemia di Peste. Come se non bastasse, il Ducato di Milano cadde in una profonda crisi economica, il che non fece che far precipitare una situazione già di per se disastrosa.
Le cause di questa malattia sono imputabili al passaggio di truppe straniere, tra le quali reggimenti francesi e i lanzichenecchi, che puntavano verso Mantova.
Solo a Milano, la peste uccise circa 64 mila persone (il 26% della popolazione, secondo le stime). Nel conteggio vanno poi incluse le morti per condanna capitale, pena inflitta a tutti quelli sospettati di essere responsabili della diffusione del morbo (ed etichettati come untori).
La storia di due malcapitati accusati di essere untori ci viene narrata da Alessandro Manzoni in “Storia della colonna infame“.
Storia della colonna infame
In questo testo è narrato il processo, svoltosi nell’estate del 1630, che decretò sia la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere) sia la distruzione della casa-bottega di quest’ultimo. I due sventurati vennero giustiziati con il supplizio della ruota.
Come monito venne eretta, sulle macerie dell’abitazione del Mora, la “colonna infame“, che dà il nome alla vicenda.
La Colonna Infame, ormai divenuta una testimonianza d’infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un’enorme ingiustizia, venne abbattuta nel 1778.
La lapide, recante una descrizione, in latino seicentesco, delle pene inflitte ai due, è custodita nel Castello Sforzesco di Milano.
L’altra faccia della medaglia
Come ogni opera, anche “Storia della colonna infame” suscitò non solo reazioni positive, ma anche aspre critiche.
Il più severo fu Benedetto Croce. A lui si affiancò lo storico Fausto Nicolini, che mosse queste critiche:
- non aver considerato come reali le unzioni, probabilmente operate dai monatti;
- non aver considerato la realtà in cui i giudici si trovavano. Possiamo interpretare questo punto come l’impotenza dei giudici nei confronti di accuse simili. Probabilmente un’assoluzione avrebbe comportato un’accusa nei confronti degli stessi giudici.
- non aver citato le accuse e le torture inflitte dal cardinale Federico Borromeo, protagonista dei suo romanzo, per altri presunti untori.
Il veri untori
Effettivamente delle unzioni ci furono.
Prediamo in considerazione questo fatto: gli unici in grado di avvicinarsi ai morti per peste erano i monatti.
Queste figure, che appaiono abbondantemente anche ne “I Promessi Sposi“, erano soliti arricchirsi con gli averi dei defunti. E’ quindi facile pensare che potessero cospargere, quindi ungere, la città con i corpi degli appestati per diffondere il morbo e aumentare le proprie entrate.
“Le unzioni effettivamente ci furono, ebbero carattere di continuità e, nel colmo della peste, furono assai frequenti, soprattutto da parte degli stessi monatti che, interessati a perpetuare con la peste il proprio guadagno, potevano veramente diffondere l’infezione spargendo intorno il marciume degli appestati.“
Enciclopedia Treccani

Appassionato di storia e informatica.
Fondatore del progetto “A braccetto con la Storia”.