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Misteri d’Italia: la tragedia di Ustica (27 giugno 1980)

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Misteri d’Italia: la tragedia di Ustica (27 giugno 1980)

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E’ quasi sera. Il volo IH870, un Douglas DC-9 della compagnia aerea Itavia partito da Bologna è diretto in Sicilia, Palermo per l’esattezza. Il volo è tranquillo, il sole è quasi tramontato. All’improvviso, una violenta esplosione. Nessuno si accorge di nulla. L’aereo, con tutti i passeggeri precipitano in mare. Cosa è successo? 

Quella sera, da terra, molti radar vedono il percorso del DC-9. C’è il radar di controllo del traffico aereo di Ciampino, c’è il radar di Poggio Ballone (GR). Come si sente, il Centro di controllo Radar di Ciampino vede uno spostamento ed un successivo riallineamento dell’aereo ma i piloti smentiscono di aver effettuato qualsiasi manovra[1]

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L’ultima comunicazione del DC-9 fu alle ore 20:59. Poi il silenzio. Alle 21:04 il pilota del volo IH870 fu contattato invano dalla torre di controllo di Punta Raisi per l’autorizzazione alla discesa.

Una ventina di minuti prima, alle ore 20:24, due piloti del IV Stormo dell’Aeronautica Militare, il Ten. Col. Mario Naldini ed il Ten. Col. Ivo Nutarelli in volo con un F104 di ritorno da una missione di addestramento, mentre effettuano l’avvicinamento alla base di Grosseto lanciano per ben tre volte un segnale di allarme generale[2]. Forse i due piloti hanno notato qualcosa di insolito nel cielo. I significati di tali codici, smentiti o sminuiti di importanza da esperti dell’Aeronautica Militare italiana ascoltati in qualità di testi, furono invece confermati in sede della Commissione ad hoc della NATO, da esperti dell’NPC (NATO Programming Centre), i quali difatti hanno affermato nel loro rapporto del 10 marzo 1997: «Varie volte è stato dichiarato lo stato di emergenza confermata relativa alla traccia LL464/LG403 sulla base del codice SIF1 73, che all’epoca del disastro veniva usato come indicazione di emergenza. La traccia ha attraversato la traiettoria del volo del DC-9 alle 18:26, ed è stata registrata per l’ultima volta nei pressi della base aerea di Grosseto alle 18:39». Al DC-9 Itavia, però non arriva alcuna comunicazione. 

Il DC-9 Itavia passa nello spazio aereo coordinato dalla III Regione Aerea il cui Comando è a Martina Franca (TA) che supervisiona tutte le operazioni dei radar di Licola, Marsala e Siracusa. Dopo l’ultima comunicazione delle 20:59:54 del 27 giugno 1980 c’è solo il silenzio nel DC-9. Tutti i radar che controllano il traffico aereo sul Tirreno iniziano una ricerca frenetica del DC-9 ma il cielo è vuoto. Intanto, all’aeroporto di Palermo inizia l’attesa dei familiari dei passeggeri. 

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Nei giorni successivi, la stampa comincia ad ipotizzare il coinvolgimento di altri aerei nel disastro del DC-9.

Il 18 luglio 1980, ovvero a 21 giorni dalla caduta del DC-9, sulla Sila vengono rinvenuti i resti di un MIG-23MS di fabbricazione sovietica. È un caccia monoposto recante matricola 6950 sotto un rettangolo verde: la bandiera dell’aeronautica libica. In molti sospettano che quell’aereo fosse caduto la stessa sera della scomparsa del DC-9dell’Itavia e che, quindi, sia in qualche modo connesso con la strage di Ustica. I due medici che effettuarono l’autopsia sul corpo del pilota, si accorgono che il cadavere è in stato di decomposizione avanzata e retrodatano la morte del libico ad una ventina di giorni prima[3]. Resta il mistero come fosse caduto[4] il MIG libico e che ci facesse nei cieli della Sila.

Nel frattempo, l’inchiesta passa a Roma. Il Pubblico Ministero Giorgio Santacroce ordina una perizia a John Macidull, un esperto americano del National Transportation Safety Board. Si attiva anche il Ministro dei Trasporti Rino Formica che nomina una commissione tecnico-formale diretta da  Carlo Luzzatti con il compito di indagare sulle cause della caduta del DC-9. La commissione non concluse mai i suoi compiti, visto che, dopo aver presentato due relazioni preliminari, decise per l’autoscioglimento nel 1982 a causa di insanabili contrasti di attribuzioni con la magistratura. In una delle due relazioni preliminari presentata nel dicembre 1980 la commissione di Carlo Luzzatti escluse l’ipotesi del cedimento strutturale, quindi il DC-9 non aveva nessun problema tecnico. Il 17 dicembre 1980 Aldo Davanzali, presidente di Itavia scrisse al Ministro Formica che, secondo i suoi esperti, ad abbattere il DC9 fu un missile. Il 28 gennaio 1981 il Ministero dei Trasporti revoca la concessione dei servizi aerei di linea ad Itavia, già precedentemente fortemente indebitata. Da lì a poco l’Itavia passo alla procedura di amministrazione controllata, per essere poi assorbita da Aermediterranea, società partecipata dall’allora compagnia di bandiera Alitalia e dalla sua consociata ATI.

A questo punto, l’unico dato certo è il tracciato del radar di Ciampino che evidenzia due punti, particolare notato anche dagli esperti americani, particolare che fa ipotizzare che vicino al DC-9 volava un altro velivolo, mentre la versione dell’Aeronautica rimarrà sempre la stessa: non c’erano aerei italiani o NATO, militari o civili in volo. Per sette anni le indagini rimangono bloccate e il relitto giace in fondo al mare a 3500 metri di profondità.

Il 6 maggio 1988, durante la trasmissione televisiva “Telefono Giallo” di Corrado Augias, una voce anonima, che dice di essere un ex aviere in servizio a Marsala la notte del 27 giugno 1980, rompe un silenzio che dura da 8 anni. Nel frattempo, la commissione d’inchiesta nominata dal Ministro Formica arrivò alla determinazione che la distruzione dell’aereo è stata determinata da un’esplosione, ma senza essere in grado di specificare se l’esplosione è avvenuta all’interno o all’esterno del DC-9

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Giugno 1987 la ditta francese Ifremer inizia le operazioni di ripescaggio del DC-9, ma il recupero è solo parziale. Manca gran parte dei resti del DC-9 ed una delle due scatole nere. Qualcuno, inoltre, avanza dei dubbi su questa società, molto vicina ai servizi segreti francesi, da sempre sospettati di saper qualcosa sul disastro di Ustica e di non aver detto nulla

Ma la storia del disastro di Ustica si arricchisce di nuovi misteri: secondo il giornalista Andrea Purgatori il disastro di Ustica è una storia del non ricordo. Nella base militare di Grosseto ci sono tre ufficiali in Torre di Controllo che ad un certo punto cominciarono a parlare di Phantom[5], portaerei, di aerei precipitati, cioè fanno dei discorsi assolutamente compatibili con la sciagura avvenuta nei cieli di Ustica. Tutto ciò venne registrato da un telefono in contatto con Ciampino lasciato inavvertitamente aperto e che funzionava in automatico. Questa registrazione finisce poi nelle mani del Giudice Istruttore il quale ci mise undici anni prima di riuscire ad identificare i tre ufficiali dell’Aeronautica. 

Per quanto riguarda l’allarme lanciato 20 minuti prima dell’esplosione del DC-9 prima dal Ten. Col. Mario Naldini e dal Ten. Col. Ivo Nutarelli, va detto che i due piloti non hanno mai spiegato il perché di quell’allarme e non avranno più occasione di farlo: nel 1988 morirono a Ramstein-Miesenbach (Germania) nell’incidente delle Frecce Tricolore che ha provocò la morte di 67 persone. 

La vicenda si arricchisce di altre morti misteriose. Le morti sospette legate alla strage di Ustica sono un mistero nel mistero. Il Maresciallo Mario Alberto Dettori venne trovato impiccato ad un albero il 31 marzo 1987 sul greto del fiume Ombrone. Nel 1980 era controllore di difesa aerea presso il radar di Poggio Ballone. Alle persone che gli erano vicine aveva confidato che aveva visto qualcosa sui radar. Il Giudice Istruttore disse che ci sono stati parecchi suicidi in ginocchio per dire che se qualcuno avesse voluto impiccarsi non lo faceva certo toccando con i piedi per terra. Il Maresciallo Franco Parisi venne rinvenuto il 31 dicembre 1995 impiccato ad un albero di un piccolo fondo della periferia di Lecce. Nel 1980 il Maresciallo Parisi era controllore del traffico di difesa aerea del radar di Otranto ed era in servizio il 18 luglio 1980 quando venne rinvenuto il MIG libico, sentito dal Giudice Priore.

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In quella sciagurata sera era ormeggiata la portaerei USA Saratoga nella baia di Napoli per effettuare dei lavori di manutenzione sui radar. L’ammiraglio USA James Flatley al comando della Saratoga, dopo aver inizialmente dichiarato che «dalla Saratoga non fu possibile vedere nulla perché tutti i radar erano in manutenzione», cambiò versione: disse che nonostante fossero in corso lavori di manutenzione dei radar, uno di essi era comunque in funzione e aveva registrato «un traffico aereo molto sostenuto nell’area di Napoli, soprattutto in quella meridionale». A detta dell’ammiraglio, si videro passare «moltissimi aerei». I registri radar della Saratoga sono andati persi. Secondo altre fonti, la Saratoga non si trovava affatto in rada a Napoli il 27 giugno 1980. Brian Sandlin, ex militare della US Navy in forza sulla Saratoga nel 1980, ha confermato nell’intervista rilasciata al giornalista Andrea Purgatori e trasmessa durante la trasmissione televisiva Atlantide del 20 dicembre 2017 che quella sera il comandante della Saratoga informava l’equipaggio che aerei F4 della Saratoga avevano dovuto abbattere due Mig libici che apparentemente si apprestavano ad attaccarli smentendo le dichiarazioni ufficiali a suo tempo rilasciate dal governo americano al giudice Rosario Priore che si occupava del caso, stando alle quali la nave Saratoga quella notte era ancorata in rada a Napoli. Sandlin dichiara, senza elementi, che quella sera la portaerei era al largo, che oltre metà dei caccia era decollato per una prova di forza con la Libia e che due di questi erano rientrati senza armamenti perché avevano sostenuto uno scontro con due Mig libici e li avevano abbattuti. In zona era presente anche la portaerei francese Clemenceau per lo stesso motivo.

I registri dei radar della Saratoga non sono mai pervenuti nelle mani degli inquirenti italiani e se ne sono perse ogni traccia.  Stessa sorte è toccata ai più importanti registri di sala del sito di Marsala che sono andati distrutti o riscritti in bella copia la parte riguardante la giornata del 27 giugno 1980. All’appello manca anche il registro di Poggio Renatico vicino Ferrara ed alcuni nastri di Poggio Balloni

I francesi risposero alle rogatorie dei nostri magistrati affermando che la base di Sollenzara in Corsica aveva cessato le attività di volo alle ore 17 del 27 giugno 1980. Gli americani che sostengono che i radar della Saratoga non hanno visto nulla. Tutto questo è inverosimile soprattutto se si considera lo scenario internazionale dell’inizio degli anni 80’, con blocchi, allarmi ed una vera e propria guerra di nervi. Basti pensare che nel 1979 l’URSS invase l’Afghanistan, gli studenti iraniani presero d’assalto l’ambasciata USA a Teheran prendendo in ostaggio 60 diplomatici. Nel Mediterraneo, intanto, montava la tensione internazionale nei confronti della Libia. Gheddafi lavorava per arrivare a una costituzione di una sola nazione che doveva unire i popoli arabi ed adottò una politica estera anticolonialista e antistraeliana ed era il nemico numero uno degli USA. L’Italia, invece, aveva una doppia politica: da una parte era parte integrante della NATO e alleata degli USA e della Francia, dall’altro aveva un rapporto privilegiato con i paesi arabi ed in particolare con la Libia. Da tenere presente che Gheddafi aveva in dotazione una serie di aerei sovietici che andavano a fare la manutenzione a Banja Luka (Bosnia ed Erzegovina), all’epoca Jugoslavia. Questi aerei per rientrare in Libia dovevano utilizzare il corridoio Adriatico. Invece, l’Italia consentiva ai libici di utilizzare il proprio spazio aereo più o meno in direzione dell’Appennino e poi il corridoio Tirrenico. In questo modo, i MIG libici passano vicino alle basi francesi della Corsica, sulla verticale della VI flotta USA a Napoli e sulla base USA di Sigonella. E questo, sicuramente, ai francesi e agli americani non piaceva. Nel viaggio di ritorno, quindi, i MIG libici utilizzano l’aerovia Ambra 13, la stessa utilizzata dal DC-9 Itavia da Bologna a Palermo 

Su tutto questo, una sola certezza 81 vittime che aspettano la verità 

Nel frattempo, i resti del DC-9 vengono recuperati ed il 27 giugno 2006 durante una calda notte d’estate si accendono le luci, vengono spalancati i portoni, ritornano rumori di motori e si sentono le voci. Escono diversi camion rossi dei Vigili del Fuoco che accompagnano i resti dell’aereo nel viaggio di ritorno al luogo dove l’aereo era partito, a Bologna. Qui, i pezzi che rimangono dell’aereo vengono accuratamente lavati e pazientemente rimontati nella loro posizione originaria 27 giugno 2007, a 27 anni dalla tragedia,  a Bologna si inaugura il museo della memoria della strage di Ustica fortemente voluto dai familiari delle 81 vittime del DC -9 Itavia, un museo che vuole essere un monito, un invito a non smettere di cercare la verità che, ad oggi, ancora non c’è. Ancora oggi, nessuno sa come e perché quell’aereo è esploso in volo. E’ stato una bomba a bordo? È stato un missile lanciato da un altro aereo? Il giudice Rosario Priore, al termine della sua istruttoria, scrisse: «si è trattato di un caso di guerra in tempo di pace» 


[1] 18:26:06Z

Roma: «870 identifichi.» IH870: «Arriva.» Roma: «Ok, è sotto radar, vediamo che sta andando verso Grosseto, che prua ha?» IH870: «La 870 è perfettamente allineata sulla radiale di Firenze, abbiamo 153 in prua. Ci dobbiamo ricredere sulla funzionalità del VOR di Firenze.» Roma: «Sì, in effetti non è che vada molto bene.» IH870: «Allora ha ragione il collega.» Roma: «Sì, sì pienamente.» IH870: «Ci dica cosa dobbiamo fare.» Roma: «Adesso vedo che sta rientrando, quindi, praticamente, diciamo che è allineato, mantenga questa prua.» IH870: «Noi non ci siamo mossi, eh?!»

[2]  Segnale di allarme generale alla Difesa Aerea (codice 73, che significa emergenza generale e non emergenza velivolo) e nella registrazione radar di Poggio Ballone «il SOS-SIF è […] settato a 2, ovvero emergenza confermata, e il blink è settato a 1, ovvero accensione della spia di Alert sulle consolles degli operatori»

[3] Il Giudice Istruttore ipotizzò una correlazione del fatto con la caduta del DC-9 Itavia, in quanto furono depositate agli atti delle testimonianze di diversi militari in servizio in quel periodo, tra le quali quelle del caporale Filippo Di Benedetto e dei suoi commilitoni del battaglione “Sila”, del 67º battaglione Bersaglieri “Persano” e del 244º battaglione fanteria “Cosenza”, che affermavano di aver effettuato servizi di sorveglianza al MiG-23 non a luglio, bensì a fine giugno 1980, il periodo cioè della caduta del DC-9 Itavia. Si teorizzò quindi che il caccia libico non fosse caduto il giorno in cui fu dichiarato il ritrovamento dalle forze dell’ordine (cioè 18 luglio), ma molto prima, probabilmente la stessa sera della strage, e che quindi il velivolo fosse stato coinvolto, attivamente o passivamente, nelle circostanze che condussero alla caduta dell’aereo Itavia

[4] I sottufficiali Nicola De Giosa e Giulio Linguanti dissero altresì che la fusoliera del MiG era sforacchiata «come se fosse stata mitragliata» da «sette od otto fori da 20 mm» simili a quelli causati da un cannoncino

[5] Molto interesse destò nell’opinione pubblica il rinvenimento il 10 maggio 1992, durante la seconda campagna di recupero al limite orientale della zona di ricerca (zona D), di un serbatoio esterno sganciabile di un aereo militare, schiacciato e frammentato, ma completo di tutti i pezzi; tali serbatoi esterni generalmente vengono sganciati in caso di pericolo o più semplicemente in caso di necessità (ad esempio in fase di atterraggio) per aumentare la manovrabilità dell’apparecchio. Questo serbatoio era installabile, tra l’altro, al Phantom Gli Stati Uniti, interpellati dagli inquirenti, risposero che dopo tanti anni non era loro possibile risalire a date e matricole per stabilire se e quando il serbatoio fosse stato usato in servizio dall’Aviazione o dalla Marina USA

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