L’estetica pt. 1 di 2

Oggi parliamo di estetica, non di estetista. L’origine della parola è simile, ma il contenuto un pelo (scusate il gioco di parole) differente. Ufficialmente l’estetica nasce nel 1750 grazie a Baumgarten che scrisse un libro chiamato, per l’appunto, Aesthetica (dal greco aisthesis, ovvero informazioni ricevute tramite i sensi e il corpo).
Fa strano pensare che “l’estetica come “scienza del bello, delle arti liberali e gnoseologia inferiore e sorella della logica” sia tutto sommato abbastanza recente. Ma non fatevi ingannare. L’indagine sull’arte avvenne anche in epoca antica e medievale, ma è nel XVIII secolo che il Bello viene scritto con la “b” maiuscola e diviene una categoria a sé stante con dei propri criteri di valore. Infatti Baumgarten la definirà anche “gnoseologia inferiore” per via dello studio della percezione sensibile attraverso i sensi, ovvero l’opposto di quello che faceva la mente. Mentre prima gli argomenti di filosofia estetica venivano considerati metafisica, per quel che riguarda il problema del bello, o discusse direttamente nelle sedi delle discipline tecniche specifiche. Con l’Illuminismo abbiamo la nascita della concezione unitaria della arti belle, unificate dal comune riferimento alla bellezza che si distingueva dalle “tecniche” che la tradizione aveva associato alle arti.
Ma andiamo per ordine. Quella greca è la prima cultura (almeno del mondo occidentale) ad acquisire le attività artistiche come fuori dalla vita sociale. Questa veniva identificata col termine téchne, ovvero operazione tesa a modificare la natura, un artificio dell’uomo. Per cui erano considerate arte anche le opere di artigianato. La bellezza per loro è simmetria e proporzione, forza di persuasione, capacità di attrarre e ingannare, luminosità e splendore del sensibile. Arte è ciò che viene ispirata dalle Muse. Arriva però nonno Platone a rompere le uova nel paniere e condanna l’arte considerandola solo una copia di una copia. Difatti se il mondo dove noi viviamo è solo una brutta copia del mondo delle idee (iperuranio), un’opera d’arte è una copia di una brutta copia e quindi da condannare. Inoltre l’arte incita la passione invece che disciplinarla (come potevano i cristiani medievali non adorare questo simpatico bacchettone?).
Zio Aristotele invece, più freakkettone nelle sue idee rispetto al maestro, considerava l’arte come materializzazione dell’idea e quindi una sua manifestazione. La tragedia (una delle arti ispirate delle Muse) è per lui un momento positivo dell’educazione dell’uomo alla conoscenza e alla virtù, perché nella tragedia si rappresenta la realtà umana come potrebbe essere.
Durante il Medioevo i due filoni principali vedono i propri rappresentanti da un lato con uno schieramento a due, Plotino + Dionigi l’areopagita tre metri sopra all’iperuranio, che riprendono la concezione platoniana, ovvero l’arte come rapporto materiale del bello ideale e l’opera prodotta come una brutta copia del mondo delle idee. Dall’altra parte, si schierano in campo filosofi come Tommaso d’Aquino, che ritengono l’arte né buona né cattiva, ma che in essa esistano due anime: un bello formale, che si ferma alla sola bellezza e un bello integrale che partecipa alla bellezza e al bene. Il filone platonico lavorerà su una metafisica del bello, come carattere costitutivo dell’essere e che porterà l’arte ad avere un peso metafisico maggiore una volta unita al concetto stesso di bello. Mentre il filone aristotelico porterà a un approfondimento del concetto di catarsi che porrà le basi per individuare la peculiarità di quelle che si chiameranno arti belle rispetto alle tecniche di altro tipo. Per farla breve, il Medioevo si può riassumere così: tutte le cose del mondo sono opera di Dio e la bellezza è solo uno dei suoi caratteri.
Fin qui insomma niente di troppo originale. La cosa divertente è che mentre i filosofi dissertavano su cosa potesse essere l’arte e la bellezza, nel frattempo gli artisti del calibro di Borromini, Bernini, Michelangelo e compagnia bella, arrivano a gamba tesa nel Rinascimento e dimostrano con i fatti cosa fosse il Bello (non che durante il medioevo non ce lo avessero già mostrato con Basiliche e Abbazie magnifiche giunte fino a noi). Forse più presi dal fare, dalle scoperte scientifiche e quelle scoperte geografiche, quest’epoca però non vede grosse riflessioni intorno alla filosofia estetica fino appunto al XVIII secolo. Il suo contributo è stato però iniziare a separare il ruolo dell’artista da quello dello scienziato o il tecnico. L’artista infatti può riconoscere delle regole in cui agire, ma può anche scegliere di non rispettarle. Nel Barocco sarà Bacone a porsi il problema dei limiti della libertà inventiva dell’artista. Egli capisce che la poesia, ad esempio, a differenza della storia, che usa la memoria, e la scienza, che usa la razionalità, fa ricorso alla fantasia, che non può essere limitata da regole e deve poter creare anche cose che razionalmente ci sembrano impossibili.
Nel ‘700, Diderot darà il suo contributo a questa nuova branca della filosofia, affermando che gli schemi idealistici siano un po’ una baggianata e che l’estetica sia il frutto del rapporto tra l’oggetto artistico e chi lo percepisce, con la propria sensibilità individuale. Estetico non è l’oggetto ma il rapporto che si crea tra soggetto e oggetto e questo crea il bello in generale.
Se parliamo di filosofia e di XVIII secolo non può non arrivare il buon Kant che nel libro “La Critica del Giudizio” crea l’estetica trascendentale, ovvero una dottrina della percezione sensibile basata sulle funzioni trascendentali. “Che hai detto?” Sì lo so, scusate Kant è così. Provo a tradurre. Per Kant la sensibilità si distingue nettamente dall’intelletto e dalla ragione. L’estetica trascendentale è la dottrina di tale sensibilità. Per lui i sensi intuiscono ma non pensano e così la ragione pensa ma non intuisce. Tale intuizione è la conoscenza diretta delle singole cose, che viene però dall’esterno e accolta nelle forme dello spazio e del tempo. Ogni conoscenza del mondo e della vita che noi esseri umani possiamo sperare di raggiungere, dipende dal rapporto tra le cose e il modo tipicamente umano che abbiamo di rappresentarle. Tradotto significa che Kant non è facile. Vi invito dunque a prendere spunto e ad approfondirlo, anche se risulta ostico. Ma nonostante possa sembrare impossibile da comprendere, ha fatto quello che i filosofi dovrebbero fare sempre: mettere in discussione e non accettare mai nulla per scontato (è stato infatti il padre del criticismo). Per semplificare, possiamo dire che Kant fa confluire antico e moderno, gettando le basi della moderna filosofia estetica, unendo i concetti sull’arte e sul bello.
Qui finisce la prima parte del nostro viaggio sul concetto di estetica. Ci leggiamo venerdì prossimo con le conclusioni e una riflessione.

Classe 1984. Laurea triennale in filosofia politica e specialistica in teoria della comunicazione. La filosofia è come un videogame: si può giocare a diversi livelli di difficoltà.